Ho in mano (e sul lettore, soprattutto) il nuovo live dei Decemberists, ossia uno dei tre o quattro gruppi degli anni Zero che hanno cercato veramente di creare una nuova calligrafia della canzone rock nello stanco panorama musicale di quest'ultimo decennio. C'è poco da dire se non che è ovviamente un disco monumentale, uno di quei dischi dal vivo torrenziali che nei begli anni della musica rock “rappresentavano l’approdo di una carriera, o la possibilità di mettere un punto e a capo per poi avviarne una nuova fase “, come scrive il grande critico Eddy Cilìa dalle pagine del suo sito. Cilìa prosegue dicendo che oramai il disco dal vivo “Non può più fungere né da memento, se è vero come è vero che torni a casa da un concerto e qualcuno lo ha già messo su YouTube, né da “Best Of” alternativo, quando chiunque può confezionarsene uno andando su iTunes o Amazon e scegliendosi uno per volta i pezzi che più gli aggradano”. Ed ha ragione.
La prova del live un tempo era la prova del nove dei grandi artisti, tanto che nessuno poteva dirsi “grande” senza un grande disco dal vivo. Persino due monumenti come Dylan e Springsteen hanno avuto come cruccio più grande quello di non aver mai pubblicato un grande album live. Non fraintendiamoci, nel caso di Dylan a supplire alla (grave) mancanza è giunta la collana delle Bootleg Series (“Giuda!” “Non ti credo. Sei un bugiardo! Suonate forte, cazzo!” Si deve aggiungere altro?), mentre nel caso di Springsteen il quintuplo live del 1986 è un ottimo compendio ma non rende giustizia a quello che, fra il 1975 ed il 1980 era forse il più grande act sulla faccia della Terra.



E poi c'erano individui come Willy DeVille. Già, perché se c'è mai stato al mondo un animale da palcoscenico, quello era Willy DeVille. Così, il live del 1992 mostra al mondo un incrocio fra un pirata, Ben E. King, Muddy Waters e un balladero chicano. Se esiste un disco dal vivo perfetto, ebbene, io gabrieledomenicogatto di Francesco, affermo e sono pronto a giurare e spergiurare che, sì, è questo. Perché, cazzo!, non si può restare insensibili allo slancio, alla grazia ed al volo di Mixed up shook up girl o al bollore sensuale di Savoir faire e di Slow drain, alla danza sfrenata di Desmasiado corazon, all'aroma di Heart and soul. Chi resta insensibile davanti a questa musica, davanti alla potenza espressiva di una band che non sbaglia un colpo e di un cantante ed autore che su quel palco dà la sua stessa vita, bé, quell'uomo dev'essere una persona veramente triste quando non disperata. O, più semplicemente, non ha un cuore.
