martedì 5 giugno 2012

"TORNO SUBITO" ovvero memorie di un negozio di dischi.


Nel 2003 ero poco più di un ragazzino. Avevo 18 anni, stavo finendo il liceo e la mia vita gravitava intorno ad un piccolo negozio di dischi che si chiamava “Torno subito”, in una viuzza non troppo in vista nel quartiere di San Salvario. Era un negozio strano, con il soffitto basso e le luci quasi sempre soffuse. Sul bancone, pile di cd da riordinare e da inserire nei contenitori a scorrimento di metallo, di quelli che si vedevano una volta nei negozi di dischi. Lì affianco c'era un ristorante minuscolo, che si chiamava “Cardo gobbo”, uno dei pochi posti dove il proprietario, che era anche cuoco insieme a sua madre, tirava ancora la pasta a mano. Sembrava un angolo di un'altra epoca.
Una volta, “Torno subito” era uno di quei posti dove si potevano noleggiare i dischi. Non ne esistono più, adesso. Ormai non esistono quasi più nemmeno i negozi di dischi.
Il proprietario era Pierino, un personaggio strano, una specie di anarchico bohemien. Quando l'ho incontrato la prima volta aveva i capelli lunghi, gli occhiali con le lenti gialle che non si toglieva mai e suonava la chitarra in una strampalata band che reinterpretava i pezzi di Rino Gaetano in chiave quasi etnica o jazz. Uno dei chitarristi migliori che io abbia mai incontrato.
Certe volte si arrivava e lui era lì, sul motorino accanto alla porta del suo negozio, che suonava una scassatissima chitarra classica. Ci suonava di tutto, là sopra. Dal jazz a Jimi Hendrix. A volte quando si entrava in negozio lui era lì, a svisare mentre ascoltava qualche disco, qualsiasi cosa. Una volta, mi ricordo, stava improvvisando su Help me di Sonny Boy Williamson, nella versione di Van Morrison su “It's too late to stop now” e, visto che ero entrato con la mia chitarra in spalla, mi ha fatto un cenno e ci siamo messi a suonare insieme. Inutile dire che quel disco finì immediatamente a casa mia, facendo volatilizzare i soldi che sarebbero dovuti servire per due settimane.
Soprattutto, nel negozio di Pierino si ascoltava. E si ascoltava tanto. Ci passavo tutti i giorni, tornando a casa da scuola o, nei primi due anni di università, da casa di mia nonna. Almeno un'ora. Spesso molto di più. E lì dentro non si ascoltava mai a caso. Passava di tutto, dal rock duro al jazz, senza alcuna preclusione di sorta. Pierino non si limitava a farti ascoltare, però. Ti spiegava tutto, per filo e per segno: “Ascolta questo passaggio”. E poi: “Senti come Tony Williams cambia la scansione sui piatti in ogni battuta”. E poi: “Senti come quel chitarrista accompagna il cantante e si fonde le parole”.
Non era un discorso di tecnica pura, era un discorso di puro cuore. E se un cd non ti piaceva, non c'era problema. Potevi portarglielo indietro e prenderne un altro.
A Pierino devo la mia quasi totale formazione musicale. Ricordo quando gli dissi che non capivo il jazz. È stato tutto il pomeriggio a spiegarmi come ascoltarlo. E sono uscito di là con in tasca “Ascenseur pour l'echaffeaud” e “Miles Smiles” di Miles Davis e “My favourite things” di Coltrane.
A lui devo la scoperta di Lalli. Arrivò prima il mini “Tra le dune di qui” e fu un colpo basso. Poi mi fece scoprire “All'improvviso nella mia stanza” e fu un colpo altrettanto basso ma ancora più forte. Andammo anche a sentirla insieme, nel 2004 a Maison Musique. Il più bel concerto della mia vita. E lui che a un certo punto, come faceva di solito, mi richiama e mi dice “Ascoltiamo Giorgio”, mentre il trombettista Giorgio Li Calzi prendeva un interminabile solo in “La fiaba di Nushe”.
E poi “Tiny voices” di Joe Henry, uno dei dischi ai quali, ancora oggi sono più legato. Un disco notturno, denso, assolutamente fuori dal tempo. Me lo aveva consigliato Pierino, tanto per cambiare, ed è stato un altro shock, uno stravolgimento nel modo di ascoltare musica.
Quel posto aveva un che di sacrale. Dentro il negozio di Pierino il rispetto per la forza e per la rilevanza della musica “leggera” era qualcosa di palpabile, di inconfondibile. E ogni volta che metto su uno di quei dischi – come stasera, che nelle casse suona proprio “Tiny voices” - mi viene in mente quel posto.
Il negozio di Pierino ora non c'è più, e non c'è più neanche il ristorante lì affianco. Al loro posto c'è una pizzeria che ha già chiuso e riaperto un paio di volte. Pierino ha mollato tutto e se ne è andato in Sud America. Poi è ritornato a Torino e ha aperto un bar. Da allora l'ho rivisto solo un paio di volte. Eppure, ancora oggi, penso di aver incontrato pochi maestri come lui.