mercoledì 8 dicembre 2010

THE HOURS OF MY CRYIN' DAY: JUDEE SILL E LAURA NYRO

Il fenomeno dei singer-songwriters degli anni '70 è genericamente identificato nell'immaginario comune con la figura del cantautore, mediamente triste e/o sfigato ed accompagnato dalla sua chitarra acustica, quasi fosse una seconda pelle. Dal Village alla California, dal Canada al Texas in effetti, nel lustro fra il 1970 ed il 1975, migliaia e migliaia di artisti uscirono allo scoperto, portandosi dietro le proprie canzoni e poco altro. Molti di essi erano certo piuttosto anonimi, nonché decisamente autoreferenziali, mentre molti erano dotati di un talento fuori dal comune che sarebbe talora emerso anche agli occhi del grande pubblico. I nomi da fare sarebbero decisamente troppi, e soprattutto si ridurrebbero ad un mero elenco catalogico senza alcuna reale utilità né significato. Tuttavia, fino al '75, anno in cui sul campo (ri)entrò potentemente un certo signor Dylan con un certo album chiamato Blood on the tracks, sbaragliando integralmente la concorrenza, il mondo del rock dovette fare i conti con una generazione non più rivolta ad un tentativo di cambiamento sociale o politico ma più ripiegata ad osservarsi nel proprio intimo. E la base di questa riflessione era costituita dal vecchio modello della canzone folk, alla quale però venivano tolte quelle asprezze tipiche del periodo Greenwich Village, magari contaminandolo con un po' di atmosfere jazzy o un pizzico di country. Certo, non mancavano le eccezioni, artisti che da una base folkie spaziavano cercando territori ancora inesplorati, ma erano per l'appunto delle rarità. Tuttavia alcune di queste eccezioni si distinguevano per un tratto peculiare comune: l'appartenenza al mondo femminile. Le donne in musica della prima metà degli anni settanta (o perlomeno molte di esse) avevano in comune una tensione artistica, una ricerca sottile ed un'insofferenza per gli stretti canoni in cui la forma-canzone tendeva a ripiegarsi sempre più. A ciò, andava aggiunto l'effetto di ritorno della “liberazione sessuale”, concetto cardine della cultura dei sixties, che permise a molte di queste signore della canzone di liberarsi dalle gabbie del perbenismo e di potersi soffermare a narrare dei propri sentimenti più profondi senza troppa paura di un giudizio altrui. Uno dei modelli restava Janis Joplin, certo, e soprattutto per la sincerità disarmante con la quale la cantante texana raccontava la propria vita sui palchi d'America, mettendo in scena la propria medesima autodistruzione.


La cantautrice la cui vita assomigliava più a quella della Joplin era certamente Judee Sill, una figura di grande portata drammatica e la cui notorietà restò sempre confinata in una nicchia ristretta, per lo più composta da addetti ai lavori. Californiana, classe '44, la sua storia è una storia violenta e disperata, fatta di droga, incidenti stradali, arresti, drammi personali e chi più ne ha più ne metta. La musica, ed in particolare il pianoforte, l'apprende fra collegi e riformatori, sviluppando uno stile profondamente influenzato tanto dal gospel quanto da Johan Sebastian Bach. La chitarra ed il folk li aveva già appresi in casa, da piccola, da un padre morto troppo presto, lasciando Judee e sua madre ad affrontare i fantasmi della propria vita con l'ausilio di massicce dosi di alcool e droghe. Così, senza nemmeno accorgersene, l'innocenza di Judee Sill se n'era volata via, spazzata da rapine per procurarsi i soldi per la droga ed esperienze al limite dell'umano, come la prostituzione. Eppure, a sentire la sua musica, non si può fare a meno di sorprendersi dalla purezza e dalla delicatezza trasparente da ogni nota. I testi, poi, sono dei piccoli bozzetti personali e pieni di immagini bibliche di cadute e ricerca di quella redenzione di cui la Sill pare aver bisogno come dell'aria per respirare. Judee non amava esibirsi dal vivo, proprio per la sua paura atavica di mostrarsi nuda nella sua vera essenza davanti ad un pubblico che avrebbe potuto non capirla, e si richiudeva sempre più nel suo autodistruttivo isolamento. Il suo talento, tuttavia, non poteva passare inosservato, specie ad uno di quei discografici “illuminati” che ancora anteponevano la passione agli interessi economici (abitudine che, ahinoi, durò per poco): David Geffen. A presentarle la Sill ci pensò Graham Nash, per il quale la ragazza aveva suonato le tastiere e Geffen non perse tempo, facendole firmare un contratto per la sua etichetta nuova di zecca. L'album omonimo della cantautrice fu il primo uscito per il catalogo della Asylum e rappresenta ancora oggi un capolavoro misconosciuto ma purissimo, lontano anni luce dagli stilemi folkeggianti dell'epoca, dai cui solchi traspariva una tristezza (che, come disse qualcuno, è il contrario della disperazione) ed una domanda esistenziale senza fine. Il secondo disco, Heart food, uscì poco dopo e fu un altra gemma assoluta, in cui le atmosfere più folk dell'esordio lasciavano spazio a geometrie più complesse, il pianoforte prendeva il posto della chitarra ed alle melodie della tradizione americana si sovrapponevano echi di musica sacra e colta. Purtroppo di lei si accorsero in pochi, troppo pochi, e nel giro di un battito d'ali, Judee Sill scomparì dalla circolazione, sempre più smarrita a causa delle proprie intime paure, che sfociavano in dipendenze assortite da alcool, droga e farmaci, fino al tragico epilogo di una morte per overdose non si sa quanto accidentale o quanto cercata. Rimangono le sue canzoni, richieste d'aiuto vere e proprie, che trovano una sintesi in quel “Kyrie Eleison” ripetuto allo spasimo in una delle sue canzoni più dolorosamente belle, “The donor”.

O waters of the moon
Your vapors swirls and swoon
Your wake is wide...
And sorrow's like an arrow
Shootin' straight and narrow
Aimin' true, it's sting goes
Reachin' to the marrow,
Silence cried...

Now songs from so deep,
While I'm sleepin',
Seep in...
Sweepin' over me
Still the echo's achin'
"Leave us not forsaken"

Kyrie eleison, kyrie eleison
Kyrie eleison, eleison,
Eleison, eleison
Kyrie eleison, kyrie eleison
(The donor)

In fondo anche Laura Nyro condivideva con Judee Sill alcuni tratti fondamentali. Stessa voglia di rompere gli schemi musicali dei soliti tre accordi prima-quarta-quinta, stessa idiosincrasia nei confronti dello show-business, stessa tendenza all'utilizzo della canzone come uno strumento di autoanalisi, quasi psicanalitica, anche lei scoperta da David Geffen. Se Judee Sill pescava dalla tradizione classica europea, l'orizzonte di Laura Nyro, nata Nigro da genitori italo-americani, era quello del jazz e della musica nera, soprattutto nella prospettiva “liberata” e spirituale che emergeva dai solchi di John Coltrane. Ma se la ricerca spasmodica di Judee Sill si traduceva all'atto pratico in un atteggiamento di autodistruzione, Laura Nyro cercava le sue risposte esistenziali dentro all'arte, immergendosi in essa fino a coinvolgere ogni propria singola cellula, ogni atomo di cuore e cervello, ogni muscolo ed ogni organo sensoriale. Il suo debutto discografico risale al 1966. Età: diciassette anni, ma potrebbe averne trentacinque o centoventi, tanto la sua musica suona matura e senza tempo, lontana anni luce dagli stilemi della musica leggera di quegli anni. L'anno dopo è sul palco del Festival di Monterrey, quello che avrebbe lanciato nell'olimpo Janis Joplin e Jimi Hendrix. Tuttavia, un atavico terrore del palco, unito ad una band eufemisticamente mediocre, penalizzarono non poco una performance che avrebbe potuto far salire anche lei agli onori delle cronache. Ma probabilmente, tutto questo a Laura non interessava nemmeno troppo. A lei interessava continuare a fare musica principalmente per se stessa, esorcizzando la propria solitudine, le proprie idiosincrasie e i propri tormenti interiori sul pentagramma. Il primo capolavoro giunse proprio nel 1967, con Eli and the thirteenth confession, uno strano amalgama di song di impianto broadwayano ed echi soul-jazz, il tutto intessuto da una vocalità particolarissima ed irrequieta, sempre pronta a lanciarsi in volo per poi picchiare verso il basso ed impennarsi ancora improvvisamente, quasi senza alcun controllo. Anche i testi erano manifesti di inquietudine, di ricerca, visioni prettamente femminili (e talvolta femministe, come spesso rivendicato dalla stessa artista), vere e proprie confessioni in musica, talmente personali da sembrare quasi autoreferenziali. Ma è con il successivo New York Tendaberry che Laura confeziona il suo capolavoro. Più scuro, più difficile, forse ancora più personale, la Nyro arriva a forgiare canzoni sempre più articolate, non di facile presa ma di fascino incommensurabile. L'artista di New York Tendaberry è un'artista strutta dai propri dubbi e dalle proprie insicurezze, attratta dal peccato ma allo stesso tempo anelante ad una redenzione, torrenziale nel proprio flusso di coscienza creativo, sospesa fra il desiderio di una stabilità ed il richiamo delle novità e della scoperta, come in “You don't love me when I cry”, con il grido finale “Andrò! Resterò!”, segno di una intima contraddizione non mai risolta.





Two mainstream die

You don't love me when I cry
Have to say goodbye

I don't want to say goodbye

Baby goodbye


And Mister I

I got funky blues

All over me
Such tender persuasion

I want, I want to die
You don't love me when I cry
Made me love to play
Made me promise I would stay
Then you stayed away

Mister I
I got drawn blind blues
All over me
Rubies and smoke rings
No no No you NO NO NO

I will go
I will stay
In the hours of my crying day
In the hours of my crying day
In the hours of my crying day
In the hours of my crying day, ah hey
In the hours of my crying a day, uh hey hey

(You don't love me when I cry)

Ma la bruciante passione della Nyro era destinata a consumare in fretta la candela della creatività, così, dopo un album piuttosto deludente, Christmas and the Beads of Sweat, datato 1970, il 1971 fu l'anno dell'ultimo colpo di coda. Gonna take a miracle era il disco più nero che una donna bianca avrebbe mai potuto realizzare. Per l'occasione, Laura chiamava a raccolta il team vocale di Patti LaBelle e metteva l'uno affianco all'altro dieci classici della black music, di impronta decisamente Motown, pescando nel repertorio di Smokey Robinson, Marvin Gaye, Curtis Mayfield e tanti altri ancora. Il risultato fu spettacolare ma, purtroppo, fu anche l'epitaffio di una grandezza artistica di cui da lì in poi si sarebbero perse le tracce. Alla fine dell'anno, la Nyro annunciava il ritiro dalle scene, a soli 24 anni, stanca dello show-business e di tutto ciò che alla musica stava intorno e musica non era. Negli anni successivi poi, l'artista tornava più volte sui propri passi, rientrando e scomparendo ciclicamente, segno che il vecchio carattere tormentato non poteva essere scalfito neppure dal tempo. Quattro album e due live in vent'anni, nessuno dei quali riuscì a raggiungere i picchi degli anni precedenti. Poi la malattia ed una morte prematura, per lo stesso male che si era portato via sua madre trent'anni addietro. L'anima inquieta della Nyro però rimane ancora viva, come l'albero che aveva fatto piantare fuori dalla sua finestra nelle sue ultime settimane, a testimoniare che l'arte sopravvive anche alla morte.

Can you surry, can you picnic more?
Can you surry, can you picnic?

C'mon, c'mon and
Surrey down to a stoned soul picnic
Surrey down to a stoned soul picnic
There'll be lots of time and wine

Red, yellow, honey, sassafrass and moonshine
Red, yellow, honey, sassafrass and moonshine

Stoned soul
(Stoned soul)
C'mon, c'mon and
Surrey down to a stoned soul picnic
Surrey down to a stoned soul picnic
Rain and sun come in again

And from the sky come the Lord and the lightning
And from the sky come the Lord and the lightning

Stoned soul
(Oh stoned soul)
Surry on, soul

Surry, surry, surry, surry

There'll be trains of blossom
(There'll be trains of blossom)
There'll be trains of music
(There'll be music)

There'll be trains of trust, trains of golden dust
Come along, surry on, sweet train of gold
Surry on down

Can you surry, can you surry?
(Can you surry?)

Surry down to a stoned soul picnic
Surry down to a stoned soul picnic
(Can you surry? Can you picnic?)
There'll be lots of time and wine

Red, yellow, honey, sassafrass and moonshine
(Red, yellow, honey)
Red, yellow, honey, sassafrass and moonshine
(Moonshine)

Stoned soul, yeah
Surry on, soul

Surry, surry, surry, surry
Surry, surry, surry, surry!

(Stoned soul picnic)

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