giovedì 2 dicembre 2010

WIKILEAKS, IL GUSTO DELL'OVVIO ED IL "DIRITTO ALL'INFORMAZIONE"

Oggi è il gran giorno, quello che dovrebbe cambiare le sorti della diplomazia internazionale e scuotere (forse) alcuni importanti equilibri nel panorama mondiale. Il sito internet che potremmo definire di “hacking politico” Wikileaks ha infatti appena pubblicato una immensa mole di documenti rubricati come riservatissimi, che riguardano pareri, ordini interni, opinioni a ruota libera e chi più ne ha più ne metta, il tutto relativo ad alti funzionari del governo americano operanti nel settore della politica estera. Non è la prima volta che il sito pubblica dossier così delicati e scottanti: già nell'ottobre di quest'anno, come i molti sapranno, era già stato diffuso un corpus documentale con riferimento alla guerra in Iraq (i cosiddetti war logs) che non avevano fatto altro che confermare tutta una serie di sospetti già avanzati all'inizio della seconda operazione militare nel Golfo. Ma questa volta, il gruppo di hacker – che ha fra i suoi leader l'australiano Julian Assange, uno dei pochi fra i fondatori ad avere rivelato la propria identità e, guarda caso, verso il quale pende un mandato di cattura per stupro spiccato in Svezia – punta più in alto, mirando a destabilizzare l'intero sistema di intelligence e di rapporti con la comunità internazionale attraverso la rivelazione di documenti che rischiano di mandare in subbuglio alcuni delicatissimi equilibri politici, sempre in bilico fra una politica di negoziazione e di competizione-conflitto. Fonti giornalistiche beninformate parlano già di una serie di scuse preventive che il governo di Washington avrebbe già preparato nei confronti dei propri partner politici e di assoluto gelo da parte di quegli stati, come Russia, Turchia e alcuni paesi del Medio-oriente, con i quali la partnership non è da ritenersi ancora pienamente consolidata e stabile. Insomma, un polverone mediatico senza precedenti, alimentato da quella specie di mostro tentacolare rappresentato dalla rete web e dalla relativa potenziale diffusione su scala globale di questi dati.



Ma siamo sicuri della profonda rilevanza di queste notizie? Siamo proprio sicuri che esse siano state diffuse per una sorta di amore alla verità e di volontà di rendere l'universo mondo cosciente dei rapporti di forza e dei segreti che regolano la vita politica internazionale e, più in largo, del ruolo dell'intelligence nella società globalizzata? E poi, anche ammettendo questa volontà “epifanica”, siamo sicuri che l'amore alla verità si realizzi dando in pasto all'opinione pubblica una mole incalcolabile di documenti, stimabile intorno alle diverse centinaia di migliaia? Al di là delle dichiarazioni allarmistiche (non ultima, quella del Ministro degli Esteri italiano Frattini, che ha parlato di un “complotto ordito ai danni del nostro paese”) e prescindendo dall'analisi dettagliata del contenuto di queste carte, che sono disponibili sulla rete e pertanto facilmente consultabili da chiunque ne abbia interesse, occorre provare a rispondere a queste domande per capire la vera portata di un evento che qualcuno ha già incautamente paragonato alle esplosioni atomiche di Hiroshima.
Intanto va puntualizzato come spesso le notizie in questione non sono altro che la conferma sulla carta di quelli che in giurisprudenza si usa chiamare “fatti notori”: banalizzando (per mancanza di spazio e non per intenzionata volontà), le considerazioni inerenti il Presidente del Consiglio Berlusconi – definito come un leader narcisista e “libertino”, nonché criticato per la sua vicinanza ad un personaggio controverso come Vladimir Putin – oppure quelle relative alle perplessità inerenti all'atteggiamento bifronte della Turchia, sospesa fra l'europeismo e le strizzate d'occhio al vicino iraniano, per fare soltanto due esempi, non sembrano avere quella portata “atomica” di cui si è parlato nei giorni addietro. Vero è che gran parte dei documenti finora emersi, cioè i circa 15.000 diffusi da alcune importanti testate mondiali, dei quali nessuno è rubricato come “top secret”, ma solo come “confidential” o “secret”1, sono forse solamente la punta dell'iceberg di una struttura che potrebbe essere molto più esplosiva di quanto queste prime notizie fanno pensare, però se il tenore dell'intero corpus documentale dovesse mantenersi su questi livelli, saremmo probabilmente di fronte ad un polverone fin troppo spesso per l'effettivo contenuto di tali comunicazioni.

Quello che lascia perplessi, è l'atteggiamento ideologico dei gestori del sito internet. Il sito, infatti, si pone come il paladino di una libertà di informazione totale, volta a squarciare il “velo di Maya” sui principali fatti di rilevanza mondiale. E questo proposito è certo pienamente condivisibile. Siamo sicuri, però, che la verità della storia sia racchiusa soltanto in una massa di dati, più o meno sensibili o riservati? Il fatto è che questo genere di fonti rappresenta solo una parte di quel quadro complessivo e polimorfo del quale consiste la politica internazionale. Quello che non emerge dai documenti prodotti da Wikileaks è l'eventuale rapporto fra l'intenzione (della quale le fonti rivelate sono la manifestazione immediata) e l'azione, ossia la vera e propria attività politica e diplomatica. Non si tratta di “mistificare” la storia, e nemmeno di sminuire la portata delle rivelazioni pubblicate: il punto nodale è la comprensione dell'utilità di una conoscenza integrale di ogni aspetto della politica, anche di quelle comunicazioni che per delicatezza e pericolosità dovrebbero rimanere circoscritte ad una cerchia ristretta di soggetti. Il sospetto è che le manovre del sito internet siano volte principalmente a scardinare un intero sistema amministrativo, quello americano, attaccandolo dall'interno, senza però cogliere la portata disastrosa delle conseguenze che questo attacco potrebbe scatenare. Non è un caso che il Segretario di Stato statunitense Hillary Rodham Clinton abbia sottolineato come la diffusione di molti di questi documenti possa mettere in pericolo molte vite umane e pregiudicare importanti operazioni di controterrorismo e di intelligence. Proprio questa mancanza di un giudizio critico (o almeno, di un tentativo di giudizio) è quello che più preoccupa nell'atteggiamento di Wikileaks (e, in parte, di quella larga parte di opinione pubblica che ne esalta indiscriminatamente l'operato), che pare più concentrato sulla ricerca dello scoop che del bene comune e della verità reale della storia, quasi come se il giudizio storico si basasse soltanto sul dato empirico della verificabilità delle fonti.



Un'altra considerazione, poi, segue a ruota il filo qui tracciato. Uno dei fattori che preoccupa di più, infatti, è quello che concerne la sempre più inesorabile perdita di effettività e potere dell'azione di intelligence internazionale. Il Servizio Segreto è, di per sé, uno strumento delicatissimo e controverso che però risulta assolutamente indispensabile alle relazioni internazionali, alla lotta al terrorismo ed alla risoluzione di tensioni internazionali. Purtroppo, però, negli ultimi anni si è riscontrata una tendenza alla svalutazione di questa componente politica: troppo spesso, in nome di una non meglio identificata “ricerca della verità assoluta”, si è cercato di attaccare il sistema dell'intelligence in maniera indiscriminata e spesso miope. Basti pensare al caso di Abu Omar, nel quale un'azione internazionale nei confronti di un soggetto considerato pericoloso per la collettività in quanto affiliato ad un'organizzazione terroristica è stata condannata da un magistrato (e nemmeno da un tribunale militare, al quale sarebbe legittimamente spettata la competenza) per una presunta violazione del principio di libertà soggettiva. Il problema è capire qual è la linea di confine fra una concezione ultra-democratica ed ultra-garantista ed una concezione che ponga come obiettivo centrale il mantenimento della sicurezza sociale e della convivenza pacifica degli individui. Non si intende, certo, giustificare l'utilizzo spregiudicato dello strumento dei servizi segreti per commettere azioni al limite del disumano come troppo spesso accaduto fin dal dopoguerra, ma qui si vuole provare a spostare l'attenzione verso un punto di vista più largo e, se vogliamo, più scomodo. E' il solito problema: può l'azione pur spregevole di un singolo essere commessa per scongiurare pregiudizi molto maggiori all'intiera società? In fondo, con le dovute proporzioni, è lo stesso dilemma che muoveva Creonte contro Antigone nella tragedia Sofoclea, ed è uno dei punti più dibattuti dalla filosofia dalla sua nascita ad oggi.

Il problema, però, anche nella vicenda odierna, rimane quello di non fermarsi allo scandalo di fronte alle rivelazioni di Wikileaks ma di cogliere questa occasione per provare una riflessione sul vero significato di “informazione” e di “verità”: questi due concetti sono riducibili al mero assorbimento di dati o hanno una portata più ampia, tenendo conto del dato esperienziale e di quelle apparentemente impercettibili dinamiche di rapporti umani che regolano la storia e di cui, spesso, ci si rende conto solo a mente fredda? E poi, ancora, è giustificabile un rischio così grande, in termini di vite umane e di tensioni internazionali, per il solo e puro “diritto all'informazione”? Certo, la questione è talmente spinosa che dare una risposta netta ed inequivocabile è praticamente impossibile – e d'altronde, quasi sempre il mondo non si divide in bianco e nero ma in infinite tonalità di grigio più o meno accentuato – e forse neppure interessante. L'importante, però, è non cadere nella tentazione, sempre incipiente ed insinuante, di prendere questi dati come una vera e propria Bibbia ma continuare a giudicare tenendo conto di tutti quei sottili fattori che regolano i rapporti di forza nella politica internazionale.


1Così come riportato da El Pais, una delle testate alle quali sono stati consegnati in anteprima i documenti

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